la via maestra: intervista a Stefano Rodotà

admin 7 ottobre 2013 0
la via maestra: intervista a Stefano Rodotà

 

Intervista a Rodotà: “La Costituzione non va solo difesa. Va attuata”

di Frida Nacinovic – liberazione.it – In viaggio verso Firenze c’è l’occasione e il tempo per poter fare qualche domanda al professore Stefano Rodotà. Gli rubiamo oltre un’ora. Giornata intensa quella della fiducia al governo Letta…

Vuole un mio giudizio su quello che è successo in questi giorni? Siamo vivendo il grado zero della politica. E in questo vuoto di politica rischia di precipitare la società italiana. Perché quel che è successo era ampiamente prevedibile fin dalla nascita dell’esecutivo Letta. Ora ne stiamo semplicemente pagando il prezzo. Il governo era sostenuto da una persona inaffidabile, che rischiava di essere condannato. Allearsi con Berlusconi era un azzardo. I fatti di oggi rispecchiano un’iniziale debolezza della politica. Le continue fibrillazioni hanno privato il governo di una prospettiva temporale e politica. Se l’orizzonte apparente era quello della primavera del 2015, quello reale si rivelava sempre più angusto. Settimane, giorni, fino alle ultime indegne vicende, quando ci si è ridotti ad interrogarsi di ora in ora sulla possibile sopravvivenza del governo.

E’ evidente che il governo Letta non le piaceva fin dal suo inizio…

Due fatti su tutti per raccontare le difficoltà del governo. Lo stallo infinito sull’Imu, per consentire a Berlusconi di dire ai suoi elettori che aveva mantenuto le promesse fatte. L’incapacità di sciogliere il nodo della riforma della legge elettorale, nonostante le ripetute sollecitazioni del presidente della Repubblica Napolitano. In un quadro politico ritenuto ‘bloccato’, la riforma elettorale è stata messa fra le ragioni costitutive del nuovo governo e della maggioranza delle larghe intese. Ma non è stata fatta.

Ma non è contento che Berlusconi è stato sconfessato dai suoi ed è oramai in parabola discendente?

Anche all’epoca del governo Monti si disse che il paese era stato deberlusconizzato. Poi però ci ritroviamo al grado zero della politica. In una situazione sempre più critica, a venir messi in discussione oggi sono elementi costitutivi della democrazia. Mandar via Berlusconi è un dato positivo, ci mancherebbe altro. Ma l’errore è stato fatto a monte: non era accettabile considerare Berlusconi a prescindere dalla sua storia giudiziaria.

Le larghe intese sono diventate qualcosa di più?

Userei una ragionevole cautela. Forse cautela non è la parola giusta. Letta e Zanda hanno dichiarato che oggi è nato un governo politico. Insomma, c’è stato un salto di qualità. Al riguardo vorrei fare una considerazione. Andiamo a scoprire chi sono i tre uomini ‘chiave’, che da subito in Senato hanno giurato fedeltà al governo Letta. Sono Roberto Formigoni, Carlo Giovanardi, Marzio Sacconi. Formigoni è l’emblema dell’intreccio fra politica e affari nella regione Lombardia, con tutte le implicazioni giudiziarie del caso, un peso insostenibile per la sua stessa maggioranza. Giovanardi è dichiaratamente omofono, si è espresso a più riprese contro i migranti, è autore di una legge sulle droghe (la Fini-Giovanardi) talmente discutibile da essere diventata oggetto di un referendum firmato dallo stesso Berlusconi. Quanto all’ex ministro Sacconi era quello che voleva impedire il trasferimento di Luana Englaro, andando ben oltre le prerogative del suo ruolo. Quello che in tema di lavoro ha cercato di smantellare lo statuto dei lavoratori, spostando continuamente l’asticella a favore dell’impresa.

Sarà contenta la destra del Pd… Non sembra di vedere grosse novità sotto il cielo della politica italiana.

Il dibattito politico è ancora bloccato su Imu e Iva. Al riguardo sono state avanzate proposte come quella di Saccomanni, magari discutibili, di cui però fino ad ora non si è fatto nulla. Eppure da molte parti arrivano segnali precisi per costruire un’agenda politica che colga i dati di realtà e guardi al futuro. Ricordo solo alcune parole. Lavoro, considerato fondamento della democrazia come vuole l’articolo 1 della Costituzione. Europa, come spazio della politica e non solo dell’economia, dunque rispetto della sua Carta dei diritti fondamentali. Oggi il vecchio continente sta negando se stesso come terreno dei diritti. Beni comuni, che evocano le questioni concretissime del regime giuridico della rete telefonica, di servizi idrici rispettosi dei risultati dei referendum del 2011, della conoscenza in rete di cui non può impadronirsi l’Agcom. Se solo ci fosse una consapevolezza dell’importanza di questi terreni, potrebbe essere fatto un passo avanti. Ci siamo liberati da Berlusconi, ma ora dobbiamo restituire legittimità alle istituzioni, siamo sotto al 5% di fiducia dei cittadini.

Sta dicendo che la Costituzione non va solo difesa ma soprattutto applicata..

Negli anni sessanta c’è il disgelo costituzionale. Fino ad allora la Carta era stata ‘ibernata’. Con Leopoldo Elia, un democristiano straordinariamente democratico, diventa una bussola. Non dimentichiamo che negli anni settanta in pochi mesi viene celebrato il referendum sul divorzio, scritto l’ordinamento regionale. Insomma l’Italia cambia profondamente. Sull’onda dell’autunno caldo viene approvato lo statuto dei lavoratori. Un fatto straordinario, si danno disposizioni sulla libertà e dignità dei lavoratori. L’articolo 36 della Costituzione parla proprio di retribuzione del lavoratore e della sua famiglia, per un’esistenza libera e dignitosa. Sempre degli anni settanta è la riforma del diritto di famiglia, la carcerazione preventiva, la parità uomo e donna, la legge Basaglia, l’aborto. Un grande momento di attuazione della Costituzione, che però poi è stata nuovamente ibernata. Ma l’attacco frontale è quello dell’inizio degli anni ottanta. Craxi parlò di un ferro vecchio, una minestra riscaldata. La Costituzione non solo viene congelata ma addirittura denigrata.

Un buon motivo per scendere in piazza a Roma il 12.

Nell’opinione pubblica sta crescendo il sentimento che dalla Costituzione non ci si può dividere. E difenderla non basta. Non mi è piaciuta la risposta vaga del ‘saggio’ Quagliariello quando gli hanno chiesto un giudizio sulle 500mila firme a difesa della Carta raccolte dal ‘Fatto quotidiano’. Nella Costituzione sono scritti i diritti fondamentali della cittadinanza: lavoro, salute, istruzione. Sono precondizioni della democrazia. Dunque il ‘no’ all’acquisto degli F35, oltre alla conseguenza di una scelta pacifista, deve essere detto perché se lo Stato non è in grado di garantire i diritti fondamentali certo non può destinare soldi agli aerei da guerra. Non lo dico solo per tirare acqua al mulino della manifestazione. Ma in questi anni soggetti sociali hanno incarnato bisogni che erano scritti nero su bianco sulla Carta. Penso al movimento per l’acqua bene comune, a Emergency – che fa assistenza anche ai migranti e a sempre più italiani che non possono pagare il ticket. La battaglia per la legalità di Libera di don Ciotti è un altro pilastro dei valori costituzionali. La Fiom che ha difeso i diritti di tutti i lavoratori è un esempio da seguire.

Dunque occorre un secondo disgelo per la Costituzione…

Il secondo disgelo lo stanno facendo i soggetti sociali, perché la politica ha avuto una regressione. Riusciremo a formare una massa critica? Se sopravviviamo anche dopo la manifestazione del 12 sì. Penso che dovremmo aspettare il 13 per capire cosa accadrà. Intanto l’ultimo rapporto Istat parla di più di 9 milioni di nuovi poveri, 5 in povertà assoluta, il 22% dei cittadini in condizioni di povertà, mentre i lavoratori precari stanno superando quelli stabili. La Costituzione può essere il punto di riferimento di un processo politico.

 

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